Cop 25, dalle regole sul mercato delle emissioni di CO2 spariscono i diritti umani

Pubblicata una bozza delle nuove regole per lo scambio di emissioni di CO2: non prevede più un chiaro riferimento al rispetto dei diritti umani

Andrea Barolini, inviato a Madrid
Una manifestazione contro la diga di Belo Monte, in Brasile © Paygomuyatpu Munduruku/Flickr
Andrea Barolini, inviato a Madrid
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Un passo indietro incomprensibile e inatteso. La prima settimana di negoziati alla Cop 25 di Madrid ha portato alla pubblicazione, tra le altre cose, di una prima bozza delle regole sul mercato per lo scambio delle quote di emissioni di CO2. Dalle quali è stato eliminato il riferimento al rispetto dei diritti umani.

«Senza i diritti umani, in pericolo l’integrità dell’Accordo di Parigi»

Ad essere state cancellate sono infatti le parole «respect, promote and consider their respective obligations on human rights». Ovvero «rispettare, promuovere e tenere conto dei rispettivi obblighi in materia di diritti umani». Ciò nell’ambito dell’implementazione dell’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, che indica appunto la volontà di introdurre un nuovo carbon market mondiale. Esso dovrebbe consentire di stabilire un totale massimo di emissioni, a livello globale, permettendo ai Paesi virtuosi di cedere “diritti ad inquinare” ad chi è invece ancora indietro nella transizione. Ma mantenendo gli obiettivi climatici complessivi.

La necessità di integrare il rispetto dei diritti umani nel mercato delle quote di emissioni è legata al fatto che non tutti i progetti sono privi di impatti sociali. I casi più eclatanti sono quelli di alcune grandi cantieri. In particolare le dighe, spesso in grado di sconvolgere intere regioni, costringere popolazioni ad abbandonare le proprie terre, cancellare in alcuni casi storia, tradizioni, culture.

«Si tratta di un cambiamento che può mettere in pericolo l’integrità stessa dell’Accordo di Parigi», ha commentato Erika Lennon, avvocato del Center for International Environmental Law. Se si tiene conto del fatto che il Sustainable Development Mechanism (SDM) – il nome inglese del nuovo mercato delle emissioni previsto dall’Accordo di Parigi – dovrà sostituire a partire dal 2020 il vecchio sistema (il Clean Development Mechanism, CDM, introdotto nel 1997 con il Protocollo di Kyoto), si comprende la portata della scelta. Il CDM, infatti, non presentava alcuna “clausola di salvaguardia” per le comunità locali. E per questo era stato ampiamente criticato dalle organizzazioni non governative.

Un favore alle mega-dighe. Come Alto Maipo in costruzione in Cile

Perché, dunque, questa scelta di continuità tra CDM e SDM? I sospetti sono concentrati su nazioni come il Cile, che presiede la Cop 25, e che sostiene ad esempio il mega-progetto idroelettrico di Alto Maipo, nei pressi di Santiago: ha ricevuto stanziamenti da numerose banche ed è registrato tra quelli che consentono di generare carbon credits tramite il CDM. I suoi impatti sull’approvvigionamento di acqua da parte della popolazione, sull’uso della terra, sul turismo, sull’economia locale e sull’ambiente potrebbero tuttavia rappresentare violazioni dei diritti umani. Ciò qualora il sistema SDM preveda l’adozione di tali “paletti”.

Ma quello cileno non è il solo progetto di questo genere. Anche le dighe di Barro Blanco a Panama e di Bujagali in Uganda sono nel mirino per le loro ripercussioni sulle comunità locali. Si può immaginare, dunque, che tali nazioni non si siano opposte all’eliminazione dei riferimenti espliciti ai diritti umani. A favore invece di salvaguardie giudicate deboli dalle associazioni, come nel caso della necessità di effettuare consultazioni con gli stakeholder locali.

Secondo le informazioni che trapelano dalla Cop 25, alcune nazioni avrebbero inoltre appoggiato il passo indietro sostenendo che quello dei diritti umani sarebbe un tema di carattere nazionale. E non da trattare in sede di riunioni delle Nazioni Unite. Si tratterebbe in particolare di India e Arabia Saudita. Al contrario, l’Unione europea, insieme ad altre nazioni come Canada, Messico, Svizzera, Nuova Zelanda, Australia, Tuvalu, e Costa Rica, si starebbe battendo per mantenere nel testo paletti più stringenti. Il braccio di ferro durerà probabilmente fino alla fine della Conferenza.