Per la sussistenza del reato di pedopornografia non è necessaria la diffusione esterna del materiale.
E' quanto emerge dall'ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione del 6 marzo 2018, n. 10167.
L'interpretazione fornita dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 13 del 31 maggio 2000, ritiene che “Poiché il delitto di pornografia minorile di cui all'art. 600-ter, comma 1, c.p., mediante il quale l'ordinamento appresta una tutela penale anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che, anche se non necessariamente a fine di lucro, ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l'immissione nel circuito perverso della pedofilia, ha natura di reato di pericolo concreto, la condotta di chi impieghi uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici è punibile, salvo l'ipotizzabilità di altri reati, quando abbia una consistenza tale da implicare il concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto”.
Non appare possibile realizzare esibizioni pornografiche se non offrendo il minore alla visione perversa di una cerchia indeterminata di pedofili: produrre materiale pornografico significa, quindi, produrre materiale destinato ad essere immesso nel mercato della pedofilia.
Secondo gli ermellini, invece, anche la produzione ad uso personale è reato perché la stessa relazione, sia pure senza contatto fisico, tra adulto e minorenne, contemplata dall'art. 600-ter c.p., è considerata come degradante e gravemente offensiva della dignità del minore in funzione del suo sviluppo sano ed armonioso.
L'ordinanza in commento costituisce una delle prime applicazioni della normativa introdotta nella riforma del processo penale con la L. n. 103/2017, che impone alla Sezione semplice della Cassazione che ritiene di non condividere l'indirizzo cristallizzato in una pronuncia delle Sezioni Unite, di chiamarle di nuovo in causa per una riconsiderazione.
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